Oratorio: cristiani belli e felici!

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L’oratorio san Giovanni Paolo II consta di una bella e consolidata tradizione. Solo l’anno scorso infatti abbiamo celebrato i dieci anni dal suo rinnovo. I nuovi locali e lo spazio esterno sono veramente riusciti a diventare casa per tanti giovani. Pensiamo che questo sia dovuto all’aiuto di tutti coloro che sono passati di qui e il nostro desiderio è che i sacrifici di queste persone e l’eredità che ci hanno lasciato non vadano persi.

Allo stesso tempo, però, constatiamo che la realtà che ci circonda sta repentinamente cambiando. Così, anche l’oratorio è chiamato a rinnovarsi nelle sue idee e nelle sue proposte. Certamente il centro deve essere sempre Gesù e il nostro impegno deve essere quello di far comprendere ai bambini, ragazzi e giovani che il vangelo è una proposta interessante anche per loro. Per far questo penso ci sia la strada maestra: prima di tutto testimoniare che la vita cristiana è una vita bella! Se siamo educatori e animatori felici, tutti prima o poi vorranno sapere la fonte della nostra felicità e noi prontamente gli indicheremo Gesù. Secondariamente, la proposta dell’oratorio deve essere integrale, cioè che guarda a tutto l’essere umano. Non è qualcosa che riguarda solo la formazione religiosa, o il gioco, o lo studio, o i talenti, o le amicizie. Ma è un luogo in cui tutto deve essere riportato ad un’unità. Ecco allora che il catechismo, l’oratorio quotidiano, il dopo scuola, la Goccia di speranza, le società sportive, gli incontri e le serate dei giovani, non sono solo belle attività o bei servizi che la nostra unità pastorale propone, ma sono la via che scegliamo per annunciare a tutti che Cristo riempie tutta la nostra vita e la rinnova.

Questo è ciò a cui desideriamo educare i tanti giovani che passano per di qui, perché pensiamo anche che questa sia la modalità per trasmettere il fascino della fede: non qualcosa che ti obbliga, ma qualcosa che ti attira per la sua bellezza e che desideri vivere in ogni ambito della tua vita.

 

Don Emanuele Sica

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Le parole del profeta Gioele, scelte dalla liturgia del Mercoledì delle ceneri come parola d’inizio del nostro cammino quaresimale, invitano al ritorno: “ritornate a me con tutto il cuore…”. Proprio nel momento in cui il tempo liturgico desidera farci vivere un cammino di conversione (in particolar modo immedesimandoci nel popolo che ha camminato nel deserto e a Gesù nei quaranta giorni di digiuno e preghiera che hanno seguito il suo battesimo) l’invito “ritornate a me con tutto il cuore…” descrive contemporaneamente il “perché” mettersi in cammino e la sua meta. Tale punto di arrivo sarà particolarmente annunciato nella seconda domenica di Quaresima quando la luce che promana dal monte della Trasfigurazione vorrà simbolicamente illuminare non solo i discepoli presenti, ma l’intero itinerario fino al monte del Calvario. Se nella trasfigurazione “il suo volto brillò come il sole”, nella passione saremo portati a contemplare un volto sfigurato: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia;… eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,3a.4a). Sappiamo però che questa non è stata l’ultima volta in cui Gesù si è mostrato ai suoi. Il cammino di Quaresima è preludio ad un tempo ancor più prezioso, il tempo di Pasqua; tempo in cui la prima chiesa più volte ha avuto la possibilità di sperimentare quanto i Vangeli ci descrivono: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore. (Gv 20, 20). La luce della resurrezione, come quella del Tabor, splende sul volto dei discepoli, sul volto della prima Chiesa che, seguendo e imitando i gesti di Cristo, come leggiamo nel racconto del martirio di santo Stefano: “Videro il suo volto come quello di un angelo…”(At 6,15).

            Siamo chiamati ad un ritorno perché ci siamo allontanati. Forse non ce ne siamo resi conto ma con molta probabilità il nostro cuore, con piccoli passi – compromessi – omissioni, ha lasciato che riprendesse piede quell’intima convinzione che è bene tenersi ad una certa distanza. Amare e lasciarsi, in certi momenti, è faticoso, rischioso, e per di più sembra che oggi non convenga molto. Siamo chiamati a tornare a Lui, con tutto il cuore, con quel medesimo sentimento che più volte al giorno, nella preghiera del pio israelita, permetteva di ritrovare la giusta posizione davanti a Dio e agli uomini: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo! Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze…” (Dt 6,4-5).

            L’invito alla conversione assume un tono forte nelle parole di san Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio….vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio….Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2 Cor 5). Tutta la chiesa fa suo l’invito che risuona nelle nostre comunità ed è proprio grazie a questa grande famiglia che è la Chiesa che ognuno di noi, preso per mano, può associarsi all’opera redentrice di Cristo. Le medesime parole di papa Francesco invitano a questo: «…ogni anno, mediante la Madre Chiesa, Dio “dona ai suoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché […] attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo”, (Prefazio di Quaresima 1)» (Messaggio del santo padre Francesco per la Quaresima).

            Per tre volte risuonano due affermazioni forti nel Vangelo del Mercoledì delle ceneri: “…hanno già ricevuto la loro ricompensa; …e il padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6). Come nel tempo dell’Avvento, anche l’occasione della Quaresima sia un “tempo di ritiro”. Nelle tre esemplificazioni riportate dal Vangelo – “quando fai l’elemosina…, quando digiunate…, quando pregate…” – possa riscoprire la gioia di sapersi figli amati.

 

I sacerdoti

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